“L'opera d'arte vive, dal momento in cui è stata creata e realizzata, una cinquantina d'anni, sessanta, non si può dire quanto, poi l'opera muore. Però in quel momento entra nella storia dell'arte. Quindi la storia dell'arte non comincia se non dopo la morte dell'opera, mentre finché l'opera vive, o per lo meno nei primi cinquanta anni della sua vita, c'è una relazione con le persone che vivono nello stesso periodo e l'anno accettata, rifiutata, discussa. Quando quella gente muore, muore anche l'opera. In quel momento è la storia dell'arte ad avere inizio".
Immenso Duchamp.
Da cui però un pochino mi discosto nel credere che la vita, come l’arte, è sempre avanti rispetto a noi. E che per una cosa che finisce ce ne è già un’altra che è incominciata. Ed anzi: incomincia perché finisce, ma finisce perché incomincia. Un cerchio imperfetto perché aperto, ma perfetto perché non si chiude. Che in questo dare la vita per poi morire, non trova fine.
Ed io ho trovato cosa avrei dovuto rispondere a chi mi ha detto che l’arte è solo un periodo, o una determinata corrente, o un certo artista. E soprattutto a chi ha detto che “il contemporaneo” non è arte.

Avrei dovuto rispondere non solo che attendere la storia sarà tardi, per loro. Ma che in molti casi la storia li ha già sorpassati. Con buona pace di Duchamp, che forse lo pensava, ma che al finire della sua vita a dir tanto non si è spinto. O forse lui voleva andarci a braccetto, con la vita.
Mica correre, per starle comunque dietro

(sì, lo so, se passa di qua giecco, e legge sta ultima frase....

).
